Novanta like, una questione di numeri.

Io novanta like a un post non li ho mica mai avuti. Ieri è successo, e sono contenta di aver contribuito, seppure in minuscola parte, a fare in modo che si parlasse anche di tutto quel che c’era dietro l’affare dell’H2O fatta in casa.

Oggi però mi sento come il padrone di casa dopo che è finita la festa e sono andati via tutti, ma tutti tutti, anche i vecchi amici del bicchiere della staffa, quelli che ti danno una mano a raccogliere bottiglie e scatole vuote della pizza e tutto il casino che resta sempre. C’è quel misto di sollievo e tristezza, dopo che sono andati via tutti. C’è, neanche troppo nascosto, il problema di cosa scrivere dopo, per non “deludere” i nuovi lettori, che è una di quelle cose che non si dicono, ma è vera.

Qualche tempo fa ho anche preso in considerazione l’idea di promuovere alcuni post su Facebook: bastano poche decine di euro per aumentare di molto la visibilità. Avevo pensato al target, donne tra i 25 e i 40, mamme, eccetera. Poi mi sono chiesta perché volessi farlo, dal momento che questo blog non è una fonte di guadagno, non faccio sponsorizzazioni, non ho annunci o spazi pubblicitari in vendita.

È solo uno sfogatoio personale, ma nessuno scrive solo per sé e sarebbe ipocrita da parte mia dichiarare di farlo. I lettori, più o meno affezionati, le visite, i commenti, i like piacciono, a noi blogger. È bello sapere che qualcuno legge, magari sorride alle nostre righe disordinate e a volte tortuose, prolisse.

La risposta alla domanda “Perché?” c’è, ed è molto semplice: perché mi piacerebbe scrivere ed essere pagata per farlo, mi piacerebbe avere delle rubriche vere, su riviste vere. Mi è successo che qualche azienda mi contattasse per scrivere nel corporate blog, in alcuni casi ho accettato, ma poi per vari motivi ho chiuso le collaborazioni. Adesso non avrei neanche il tempo, tra i figli, il lavoro vero, il pediatra, le riunioni, la spesa, quindi mi sono detta che no, niente budget per la self promotion.

Poi c’è una forte componente di vanità personale pura e semplice, che è anche la causa principale della mia tendenza all’oversharing: foto, tweet, post su Facebook. Una ricerca costante di consensi e approvazione abbastanza fine a se stessa, ad essere spietatamente sincera e parecchio autocritica, una popolaritá vacua che non porta da nessuna parte.

Altre volte, vedendo post tutto sommato banali o mal scritti riscuotere un successo ingiustificato, mi passa anche la voglia di cercare idee, spunti. Allora mi fermo e aspetto che torni il prurito ai polpastrelli, che mi si presenti in testa un post già scritto, magari correndo, o stirando.

C’è anche il sogno di un libro, da qualche parte, insieme alla devastante consapevolezza di quanto ancora mi resti da leggere, prima di arrogarmi un diritto che forse non ho, quello di scrivere. Magari solo un e-book, magari in inglese, che su Amazon vende molto di più. Non lo so, adesso devo finire l’infografica e imparare a gestire l’amministrazione di una fabbrica. A volte penso che ce la farò, come sempre, in un modo o nell’altro. Molto più spesso mi ritrovo a guardare smarrita il gestionale, le fatture, le banche, i rifiuti, righe e colonne di numeri che devono combaciare, pensare che non ce la farò mai. Sarà come alle superiori, con le equazioni. Sbagliavo segni, non tornavano quasi mai. Preferivo studiare filosofia, storia, letteratura, sono un’umanista, mi piacciono le versioni di latino e i giochi di parole, i paradossi e i sillogismi. È sempre matematica, in fondo, ma invece dei numeri ci sono le parole. Con i numeri non ci so fare, io. Mi danno ansia. Quelli delle visite al blog, quelli dei rendiconti di banca. Non ci stiamo simpatici, a tombola perdo sempre e al lotto neanche gioco.

Non sono mai stata un ragioniere, eppure riesco a intravedere la bellezza di un mondo in cui ad ogni uscita corrisponde un documento, un codice di costo, in cui ci sono solo numeri e un modo soltanto, che è quello giusto, di registrare e digitare e scrivere. Sarà che ho imparato molto tempo fa che non si può sempre e solo fare cose che ci piacciono, che molto spesso toccano compiti magari noiosi, precisi, ordinati, metodici, e che è molto più saggio cercare sempre il bello in ciò che dobbiamo fare.

E scrivere mi piace, mi piacerebbe. Mi piacerebbe saper scrivere nel modo che piace alla maggior parte della gente, anche se non credo che piacerebbe a me.

Quindi non importa, questo post avrà molti meno like di novanta, e le statistiche resteranno basse. Continuerò a scrivere soprattutto per me, tutto il resto sarà un regalo.

Non è una resa, è solo che bisogna capire quali battaglie preferisci combattere, e io adesso ne ho un’altra, che mi interessa di più delle statistiche di questo angolo di internet.

È sempre questione di numeri, in fondo.

(E poi oggi piove, e sono malinconica).

3 pensieri su “Novanta like, una questione di numeri.

  1. Arriva un momento in cui bisogna scegliere se continuare ad avere un blog “autentico” o modificare qualcosa perché sia gradito ai più…
    A parole mi rendo conto che è facile scegliere la prima strada… Di fatto, la scelta è molto più difficile perché, come dicevi tu, a tutti piace avere consensi e apprezzamenti.
    La verità è che a me i blog “autentici” piacciono. Sono gli unici che mi piacciono, in realtà… e la differenza fra l’uno e l’altro tipo non passa inosservata a chi legge.

    Per quanto mi riguarda, prosegui per la tua strada.
    Quella che solo tu conosci: non abbandonare il blog e scrivi il tuo libro. In inglese, se ti piace, non perché venderebbe di più 🙂
    E, già che ci sei, scaccia anche la malinconia 🙂

    A presto

    Giulia ☀

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  2. Il magico potere dei numeri, la soddisfazione di sommare dare e avere e vedere 0 come risultato (e il terrore quando il risultato è diverso da zero perchè sai che la ricerca dell’errore sarà infinita): benvenuta nel mio mondo!
    Fare il ragioniere per pagare le bollette non implica rinunciare al sogno di scrivere un libro… e ti assicuro che tu puoi assolutamente arrogarti il diritto di scriverne uno!
    Chiara

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