La fabbrica delle bolle di carta.

Una delle cose più divertenti e insieme dolci dei bambini sono i loro buffi e teneri errori di pronuncia (o di lessico) che ci fanno sorridere, ma anche pensare alla complessità del linguaggio, nonché del mondo che iniziano a conoscere.

Ieri il cinquenne stava raccontando a una conoscente dove lavora papà.

Noi abbiamo sempre evitato il babytalk e fin da quando aveva due anni ha sentito il papà congedarsi dopo la pausa pranzo dicendo che sarebbe tornato in fabbrica a fare un po’ di bolle. Ovviamente le bolle sono i DDT di trasporto, ma quando aveva circa 30 mesi il cinquenne un giorno sbottò pretendendo di andare anche lui in quella fabbrica dove si fanno le bolle, che anche a lui piaceva tanto farle, le bolle.

Gli spiegammo allora che le bolle del papà non erano quelle di sapone, ma che la stessa parola indicava anche un foglio di carta scritto al computer con su una lista di pezzi che la fabbrica produce per altre fabbriche che li comprano e li usano per costruire quello che vendono loro. Può sembrare complesso, ma noi cerchiamo sempre (nei limiti del possibile) di tradurre la verità in concetti semplici che lo aiutino a comprendere meglio e sempre di più la realtà che lo circonda.

Dopo questo fatto, successo un paio di anni fa, il cinquenne è venuto più volte in azienda, ha visto i pezzi uscire dalle macchine a CNC, i carrelli elevatori… Insomma, sa che cosa produce la fabbrica, cioè componenti metalliche.

Tornando a noi, e alla conversazione di ieri, immagino possiate immaginare il mio sbigottito silenzio e la successiva ilarità nel sentire il cinquenne che spiegava tutto compunto alla signora che il suo papà va a lavorare tutti i giorni in una fabbrica che fa… le bolle di carta.

Alzarsi al mattino sarà sempre difficile, credo, ma d’ora in poi un sorriso all’idea di andare anche io a lavorare nella fabbrica delle bolle di carta non me lo leva nessuno. (Grazie, mio piccolo poeta).

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