#LIDL EVANGELIST.

Spesso leggo qua e là la parola technology evangelist, che mi spiega Santa Wikipedia essere colui o o lei che “costruisce una massa critica di supporto a una data tecnologia”. Purtroppo non ho trovato nessuna ermeneutica biblica (per stare in tema evangelico) di questa definizione, quindi provo a tradurla io sostenendo che in soldoni l’evangelist è uno che cerca di convincerci che una certa roba che ancora hanno in pochi è indispensabile e ci risolverà tutti i problemi. Esistenziali o meno. Il mio evangelist preferito è un signore americano che si chiama Guy Kawasaki e tiene, pare, oltre 50 keynote speeches ogni anno. Fa l’evangelist per un sito /app molto interessante che si chiama Canva e permette a tutti di giocare al piccolo grafico con la stessa allegra leggerezza con cui da piccoli sul tavolo della cucina l’allegro chirurgo.

Sono tre giorni che cerco invano il tempo di scrivere questo indispensabile post, indispensabile on certo per voi, beninteso, quanto per me, e da altrettanto tempo mi ronza nella testa proprio questa cosa dell’evangelist, poi oggi ho visto su Instagram la foto di uno che non so neanche come mai fosse ancora tra i miei following, e che si autodefiniva technology evangelist sembrando al massimo un prete di campagna mentre con il vangelo in mano viene assalito da uno dei bravi di don Rodrigo, ma pazienza, resterò fedele al vangelo del mio amico Guy Motocicletta e non mi lascerò scoraggiare dal sano proposito di apporre, da qui a un anno, il medesimo titolo sui miei biglietti da visita.

Alessia, Evangelist. (sí, confermo, potendo scegliere avrei preso Linda Evangelista, nome, faccia, corpo e conto in banca, ma è occupato, c’avimm’a fa’).

Ora, tutto questo sproloquio non deve trarvi in inganno, amici, poiché c’è del metodo in questa follia: questo infatti è un post ad hoc, nel senso che io sto iniziando a scoprire le mie carte, a tratteggiare la strada del mio successo, a costruire i fondamenti del mio business e tutte cosse motivescional per diventare finalmente ciò che so di essere in fondo sempre stata: una Lidl evangelist.

Io quando vado al Lidl divento una persona migliore. Più ricca dentro, più povera fuori. Assumo perfino un accento vagamente tedesco, un portamento più eretto, uno sguardo più limpido, un aspetto più nobile. Io al Lidl ci ho comprato IL BIMBY, per dire, e un set per la pedicure, un baule per i giocattoli, 67447 rotoli di nastro adesivo washi tape, (che non uso perché sono troooppo kawaii i e mi secca consumarli) un bulino per il legno, set di brillantini, colle, colori, cartoncini colorati, pennarelli per qualsiasi supporto, una casa per le bambole, chilometri vari di binari in legno compatibili con quelli Ikea, l’equivalente della cellulosa prodotta in sei anni dal legname della Foresta Nera in dischetti di cotone per il make up, uno stand appendiabiti da lavanderia, un numero imprecisato di scatole di latta, tutte bellissime e indispensabili a contenere quelle più piccole sempre comprate lì, un hoverboard. Sto considerando un drumset elettronico in offerta questa settimana da regalare per Natale al figlio di qualcuno la cui amicizia io sia disposta a mettere a repentaglio, e non ho del tutto rinunciato a quel frullatore che riscalda, né al decespugliatore in terza corsia.

La mia amica Silvia sono mesi che ha smesso di chiedermi dove io abbia mai comprato questo o quello, perché conosce la risposta: da LIDL . Tempo fa, cercando un tattoo che parlasse di entrambe, per settimane non ci veniva in mente altro che il logo di LIDL, peraltro ancora in opzione.

Quando mi sento triste e ho bisogno di fare shopping compulsivo io non vado da Ramonda abbigliamento, io vado nei cesti delle offerte LIDL e scelgo tra un martello pneumatico portatile, una friggitrice, un trapano elettrico o una spazzola a ultrasuoni per la pulizia del viso.

Sotto Natale poi è doppia libidine coi fiocchi, perché c’è tutta la parte home decor di stampo un po’ nordico che adesso è appesa nel mio soggiorno, e mi spiace solo non aver preso quei dieci metri di tubo luminoso LED che avrebbero dato al terrazzino quell’atmosfera un po’ kitsch dei film americani anni ’80 che rendono sopportabile questo periodo e garantiscono una dipartita dolce nel sonno ai migliori di noi il pomeriggio di Santo Stefano. Ho comprato sette fogli di adesivi per vetri, quindici di etichette a rilievo, stampini, materiale per biglietti d’auguri, kit per fiocchi e festoni, lanterne e candele decorative.

Tra parentesi volevo rassicurarvi in merito al fatto che ho capito quasi subito che candela decorativa significa che non la devi accendere, sapete, cari signori di LIDL.

Signori di LIDL Italia, io voglio fare la LIDL evangelist. Io voglio fare gli haul video entusiasti sul tubo con gli accessori Ernesto, con i fazzoletti Cien, con i detersivi W5 e gli elettrodomestici Silver Crest. Io non vi amo, signori di Lidl Italia, io vi Italiamo. Fatemi una Favorina, io sarò una evangelist deluxe.

Lasciatemi fotografarmi nel vostro carrello senza sprecare nemmeno una foglia di lattuga che non siamo truzzi arricchiti qualunque, ma avvolta da pacchi di tutine Lupilu, strettamente abbracciata a una tagliacuci, signori del LIDL.

Basta con questa bolla dell’influencer marketing. È ora di fare come con l’aerobica, che ha cambiato ottomila nomi dai tempi di Jane Fonda e dei suoi fuseaux, ora leggings, e decidere che adesso si fa solo evangelist marketing.

Questa è un’occasione unica, signori di LIDL Italia. Non fidatevi delle altre, non valgono che un misero Penny. Io sono la vostra Evangelist. LIDL EVANGELIST.

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