Shopping da Decathlon.

Delle centinaia di ottimi modi di passare un pessimo pomeriggio di un uggioso maggio di pioggia uno dei più tragici è indubbiamente quello di seppellirsi volontariamente in un mareggiare pallido e assorto di omogenea sub-umanitá in un enorme capannone puzzolente di derivati petrolchimici di origine sudest asiatica.

Cioè? Cioè, parafrasando il paragrafo di cui sopra, fare shopping da Decathlon. 

Fuori dal negozio di Torri di Quartesolo (VI) c’è la stessa insegna triangolare che svetta nei pressi del gradino appena inferiore della strada lastricata di buone intenzioni in rapida discesa verso l’inferno, ovvero IKEA. 

La sensazione di inebriante onnipotenza da (apparente) low cost si mischia, in codesti luoghi di annullamento del sé, a una devastante sensazione di spaesamento da sovraesposizione, una specie di degenerazione patologica della Sindrome di Stendhal, adeguatamente shakerata con quel tanto di Sindrome di Stoccolma (IKEA, again) necessario e sufficiente a farci tornare spontaneamente in siffatti, terribili luoghi. 

Volevo comprare al mio piccolino (ebbene, ego quaeque) una di quelle biciclette senza rotelle su cui vedo sfrecciare i treenni adesso, ma temo davvero sia una delle poche cose che non ho comprato. Perché a me da Decathlon nonostante l’odore petrolchimico da passante di Mestre, ecco, a me davvero viene voglia di iniziare a praticare almeno sedici nuove diverse discipline sportive. Oggi ho provato i rollerblade, su cui fantasticavo da mesi dopo aver visto una ragazza correrci su lungo il mare, ma onestamente il fatto di aver impiegato circa 78 secondi per percorrere in rigoroso appoggio i 2,4 mq della piccola area antistante la zona prova, ecco, mi ha persuasa a rimandare l’acquisto. Sono stata tentata anche da un hoverboard, ma per il medesimo motivo ho abbandonato anche questa idea. 

Che fare, dunque? Sub? Come non desiderare uno splendido paio di pinne azzurre, una muta azzurra, una maschera con boccaglio azzurro, un surf azzurro, nell’assai meno azzurro mare di agosto, nel quale non entro perché stiamo tutte e tre le settimane in piscina? 

E perché dunque non comprare un intero set di abbigliamento da vela, tenendo presente che se puoi permetterti una barca a vela è piuttosto probabile che tu preferisca Marina Yachting e Murphy&Nye a Decathlon 156%sintetico e 456%viscosa?  

E quelle meravigliose manigliette, come ho osato finora fare i miei plank abs appoggiando semplicemente mani e gomiti per terra? Tesoro possiamo comprare questo adorabile sacco da boxe per il soggiorno? Certo, lo teniamo vicino al set di archi professionali o dentro la tenda Quechua a 43 posti letto? 

Che meraviglia, fare shopping da Decathlon. Quanti sport. Quanti modi diversi di vestirsi, per ciascuno di questi sport. 

Oggi ho persino scoperto l’esistenza dell’abbigliamento da hiking, che a me piacerebbe tanto sapere le lingue straniere così non avrei dovuto googlare di nascosto per scoprire che hiking è quello che mio papà chiama tipo “andare a camminare in montagna.” La cosa molto bella è stata la signora che stava guardando (oddio, guardando, era il tipo di donna che non riesce a vedere con sufficiente chiarezza ciò che non tocca, a prescindere dal suo reale interesse), la signora, dicevo, aveva una gonna molto corta che sembrava tanto più da hooker*, che da hiker, era quasi poetico questo contrasto. 

Comunque mi sono sentita abbastanza felice, nonostante io alla fine non abbia iniziato nessun nuovo sport e neanche acquistato la relativa attrezzatura, che come sa chiunque, è fondamentale avere prima di accostarsi a qualsiasi disciplina per la primissima volta. 

Mi sono sentita felice perché nessuna o quasi delle altre anime perse che vagavano lungo le ipertrofiche corsie del fitness/wellness/volley/yoga/danza/wushu/jujitsu/badminton/morra cinese sembrava poi molto in forma, indizio questo del fatto che probabilmente anche loro, come me, sono molto più inclini al divano che al diving, di qualsivoglia tipologia. 

In ogni caso, come impone il decalogo della perfetta blogger influencer wannabe, ecco una dettagliata lista di ciò che ho comprato:

1. un giubbino leggero con piumino interno staccabile per il seienne 

2. due zainetti per i bambini, così probabilmente inizieranno a trasportare da soli i loro giocattoli, oppure, più presumibilmente, oltre a giubbotti succhi salviettine fazzoletti capelli occhiali da sole per tutti, potrò portare anche i loro zainetti. Quechua, perché mi piace come suona, Quechua.

3. un paio di pantaloni da corsa leggermente fascianti e neri, di quelli che appena li metti e ti guardi pensi beh sono magra posso anche non correre, meraviglia del nero, e questi mi fanno un sederino ancora meglio degli altri, e insomma, sono pur sempre una ragazza, diamine, su

4. un paio di top da corsa perché sul lungomare sono tutte abbigliate tecniche e io ero l’unica sfigata con la maglietta di cotone, che poi ha la scritta coconuts proprio davanti e quando il piede tocca terra mi rimbalzano le coconuts, quindi ho preso anche 

5. un reggiseno veramente tecnico in cui non si muove più nulla, cassa toracica inclusa, e abbiamo risolto anche quella fastidiosa questione dell’iperventilazione anaerobica iniziale, per mancanza proprio di spazio fisico per l’aria nella mia compressa cassa toracica di cui poc’anzi. 

6. Un marsupio ultrapiatto con lo scomparto per le chiavi e quello per il cellulare che ha un buchino da cui far uscire il filo delle cuffie. Rosa shocking. 

Ne avevo già uno di piatto, ma era quello da viaggio che mia madre mi costringeva a portare in vacanza studio in Germania o Inghilterra, ho questi ricordi di banconote da dieci e cinquanta marchi, o da dieci, venti sterline con la Queen Elizabeth un poco sudaticcia e stropicciata per via delle trenta ore di autobus + ferry boat + autobus da Vicenza a Eastbourne, in cui il diktat materno di non staccarmi mai da soldi & documenti mi costringeva a portare sempre il marsupio piatto sotto ai jeans. 

Questa cosa genera in me tuttora una lieve ansia, capite, come se stessi ancora correndo con i centocinquanta marchi che dovevano bastarmi per due settimane di cibo (impensabile mangiare in un ostello della ex DDR nei primi anni ’90) e per tre giorni a Berlino, passati quasi interamente nello stesso negozio che c’era anche qua, ma là era più figo. 

È stato davvero tanto tanto bello oggi da Decathlon. 

Imparare (o meglio, scoprire l’esistenza di) nuovi sport e nuove attrezzature, decidere che non è il caso, dopotutto​, di iniziare a dedicarmi con passione al badminton o alla pesca d’altura,  e infine uscire, soprattutto. 

Ma anche il fatto di poter prendere tutto taglia XS ha avuto il suo sporco perché.

*Prostituta

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